4 luglio 2010 - L’intervista a Stefania Di Carlo di
Isabella Piro per Radio
Vaticana,
in occasione della visita a Sulmona di Papa Benedetto XVI nell’Anno
Giubilare Celestiniano
Il Papa a Sulmona per l’Anno Giubilare
1) Dal punto di vista della
storia della Chiesa qual è l’importanza di Celestino V?
Il pontificato di Celestino V non può definirsi di
transizione poiché di soli 5 mesi e 9 giorni. Ciò è provato dal fatto che cade
tra due grandi momenti della storia della Chiesa aventi quali protagonisti:
Niccolò IV e Bonifacio VIII. Celestino V fu il "povero di spirito"
come ha ben detto Indro Montanelli, "il povero cristiano" di Ignazio
Silone, "il mirabile che diventa venerabile" di Chiara Frugoni,
"il simbolo della libertà umana che rinuncia al potere politico grondante
di misfatti e sangue, in favore dell'autonomia e della purezza della
coscienza", "l'ideatore già come eremita e monaco di rudimentali
servizi di solidarietà sociale per i bisognosi con ospedali, confraternite,
elemosine mirate", "un campione di utopia",
"l'uomo di pace che tra i primi atti cerca di riappacificare le due casate
in lotta degli Aragonesi e degli Angioini per il possesso della Sicilia, che
ristabilisce ottimi rapporti con il re di Inghilterra e che assolve da
scomuniche o invita re ad indulti". Non fu una figura scialba neanche come
abate e fondatore di una congregazione: fu, infatti, un abate viaggiante, un
religioso che, benché ritenesse gli eremiti superiori ai cenobiti, preferì
restare "figliolo del grande patriarca d'Occidente che fu San
Benedetto", fondando appunto una congregatio
all'interno dell'Ordine benedettino (approvata nel 1264 da Papa Urbano
IV e confermata da Papa Gregorio X nel 1274). Non aggirò mai il diritto
canonico, non uscì mai fuori dell'ortodossia.
Pietro da Morrone, salito al soglio di Pietro, come
Celestino V, fu l'espressione di un cristianesimo autentico non contaminato
dalla corruzione del mondo, capace di colpire ancora oggi l'immaginario
collettivo ed invitare alla riflessione.
Le sue severe abitudini vestimentarie (cilicio fatto di
crini di cavallo che creavano piaghe sul corpo), penitenziali (catena e cerchio
di ferro, sei quaresime l'anno con digiuni ferrei, cibo costituito soprattutto
da cavoli e rape mai carne, con poca acqua e vino annacquato, pietanze in ogni
caso insipide, nuda tavola e cuscino in pietra per dormire, 500 genuflessioni
al giorno, grande lavorio per riparare cilici, grande spazio dedicato alla
preghiera) furono i tratti di un rigore che mantenne anche come pontefice.
Ebbe, come ci dicono i discepoli coevi autori della Vita C, ovvero Bartolomeo di Trasacco e Tommaso da Sulmona,
sempre parole di ammonimento per i potenti affinché non si facessero ingannare
dalla gloria caduca e momentanea, ai religiosi ricordava che non dovessero
impiegarsi solo nel campo temporale, ai ricchi diceva di pensare ai sofferenti
e ai tribolati, chiunque andasse da lui - sia quando fu eremita sulle montagne
che papa - concesse la benedizione.
2) In quale contesto
storico-sociale si trovò ad operare?
Celestino V ha cercato di riportare l'istituzione Chiesa al
messaggio evangelico. Di fronte all’Ecclesia
carnalis, materiale, lacerata da lotte intestine, abituata alla
corruzione e alla simonia, Celestino ha rappresentato, sin dai primi tempi del
pontificato, il "papa angelico", il "pontefice vibrante di una
religiosità che si nutriva di attese escatologiche", "il papa
orientato verso la spiritualità e pronto ad una palingenesi del clero
deviato".
L'espressione "di papa angelico" non è però da
attribuire - come si dice spesso - a Gioacchino da Fiore, il visionario e
mistico calabrese da Dante Alighieri definito nel Paradiso canto XII "di spirito profetico dotato" e
che ha parlato delle tre età (del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo),
preannunciando una visione palingenetica della Chiesa ma alla tradizione
gioachimita successiva: quella del parmense francescano Salimbene de Adam
(1221-1288), autore del Chronicon e
del francescano Ruggero Bacone (1214-1294). autore del Compendium studii philosophiae. Celestino V fu il papa amato
dalla gente che, già da eremita lo ricercava sulle montagne impervie
dell'Abruzzo (Morrone e Majella), e dagli Spirituali francescani che, quando fu
eletto pontefice lo raggiunsero, a L'Aquila, spintii dal ministro generale Raimond
de Geoffroi (italianizzato Raimondo Gaufridi), al fine di ottenere protezione.
Angelo Clareno (già Pietro da Fossombrone), Liberato (prima Pietro da
Macerata), Jacopone da Todi (l'autore della lauda famosa "Que farai Pier dal Morrone? Ei venuto al
paragone" e"), incolti e rozzi, perseguitati per il loro
desiderio di rispettare il Testamento di San Francesco d'Assisi divennero
grazie a Celestino V i "Pauperes heremitae
domini Caelestini" (Poveri Eremiti di Celestino").
Sciolti dall'obbedienza dei superiori, vestirono l'abito bigio
dei Celestini ed ebbero come cardinale protettore Napoleone Orsini (Matteo
Rosso rimase invece protettore dei Frati minori!). Questo atto, come tanti altri,
sarà cassato da Papa Bonifacio VIII che perseguiterà di nuovo gli Spirituali, costringendoli
all'esilio in Grecia o a rientrare nell'Ordine che li aveva puniti e rifiutati,
pena la scomunica o a fuggire tra le montagne ascolane e aprutine. Celestino li
aveva protetti perché stimava in sommo grado la povertà evangelica, l'umiltà e il
ruolo dei monaci nella Chiesa. Con Bonifacio VIII gli Spirituali furono di
nuovo allontanati dalla Chiesa.
Il Medioevo in cui si inserisce Celestino V è anche quello
in cui imperversa il Male con la “m” maiuscola producendo epidemie, carestie, fame,
cataclismi; è il periodo dei fantasmi e degli spiritelli, delle streghe,
dell'ignoto. Occorreva una sorta di salvacondotto per il regno di Dio per le
coscienze angosciate dell'uomo di questo tempo. Pietro da Morrone proveniva dal
Molise contadino (non entro volontariamente nella diatriba che oppone varie
località per i natali!) e da buon contadino rimase, anche quando divenne "Vicarius Christi", come ha ben
detto Paolo Golinelli.
Queste origini piacquero a tutti gli strati sociali in cui
si trovò ad operare: benché si sentisse solo un intermediario tra Dio e gli
uomini, divenne il taumaturgo noto non solo tra il popolino ma anche tra gli
esponenti della Curia (suo amico e benefattore fu il futuro Decano del Sacro
Collegio che lo elesse papa: Latino Malabranca); altro amico fu il re Carlo II d'Angiò,
grande estimatore fu lo stesso Papa Gregorio X che a Lione gli chiese di officiare
la messa al suo posto e davanti al quale si produsse il miracolo della cocolla
ricordato dai Celestini francesi in una celebre biografia). Di certo sempre rifuggì
ma invano, il concorso della gente che gli impediva la vita da solitario e di preghiera,
ma mai evitò di dare soccorso alle giovani senza dote, ai poveri affamati anche
se il cibo fosse in quel momento davvero esiguo nel monastero.
3) Che tipo di uomo e che tipo
di papa fu Pietro Celestino?
Come uomo pensò al bene della Chiesa, ristabilendo la costituzione
della "Ubi periculum" volta
ad eleggere rapidamente il pontefice ed evitare lunghe vacanze, costituzione
emanata nel 1276 da Papa Gregorio X (1271-1276), sospesa e abrogata dai Papi
Adriano V (1276) e Giovanni XXI (1276-1277). Si occupò di favorire gli
Eremitani di Sant’Agostino e i Frati Predicatori, di "riordinare la vigna
che degenerava e rovinava di San Benedetto – come hanno scritto i Celestini di Francia,
card. Pierre d'Ailly e monaco Denis Lefevre" (anche se la modalità impiegata
è discutibile: facendo diventare tutti i monaci neri di Montecassino monaci celestini!).
Come Papa mostrò al mondo intero la sua umiltà, cavalcando un asino da Sulmona
a L'Aquila, sede da lui scelta per l'incoronazione papale; ricorda così Cristo
che entra a Gerusalemme. Sempre come pontefice tra i primi atti promulgati c'è
la Bolla della Perdonanza.
4) Celestino V istituì la Perdonanza.
Da quale esigenza scaturiva, secondo Lei, questo atto?
Con la Bolla Inter
sanctorum solemnia datata 29 settembre Celestino V ha accordato l'indulgenza
plenaria ai fedeli, confessati e contriti, che avessero visitato la basilica di
Collemaggio tra i vespri del 28 e 29 agosto.
L'atto nasceva dal desiderio di venire incontro alla gente;
Celestino V estese il "tesoro della Chiesa", la ricchezza spirituale
ai bisognosi; il suo fu un atto di
misericordia, instaurava così un diretto rapporto dell'uomo con Dio e con la
Chiesa intesa come istituzione. Insomma il suo Perdono non era rivolto agli addetti
ai lavori o a quelli che combattevano nelle Crociate. Di certo, l''indulgenza è
la remissione dinanzi a Dio della pena temporale; la colpa viene rimessa con il
sacramento della riconciliazione.
Quella di Celestino V è un'indulgenza concessa inizialmente
in agosto "vivae vocis oraculo"
(a viva voce) e messa per iscritto nel mese di settembre; essa assolve da
colpe e da pene, in quanto Celestino V è il possessore della pienezza del potere
ecclesiastico (plenitudo potestatis ecclesiasticae).
Il documento della Perdonanza aquilana presenta tutti i
crismi di una bolla papale: inscriptio,
arenga, narratio, dispositio, datatio (mittente, titolo, saluto,
riferimenti, disposizione, data). Si tratta di un atto autentico vista
l'animosità del successore Bonifacio VIII che cercò di recuperarla e di
cassarla inutilmente; custodita dal Magistrato aquilano è giunta sino a noi. È
un giubileo particolare legato come dice il Dizionario di Teologia cattolica e di Diritto canonico ad una città, a una zona o località, a un paese
come quello di Le Puy in Francia concesso il 25 aprile o quello per San Giacomo
di Compostela o quello legato alla chiesa di Saint-Nizier a Lione, etc. La
Perdonanza aquilana, che vede l'apertura della porta santa della basilica di
Collemaggio ogni anno tra i vespri del 28 e del 29 agosto, ha un precedente
solo nell'indulgenza ottenuta da San Francesco d'Assisi per Santa Maria degli
Angeli, indulgenza legata ad un luogo sacro concessa da Papa Onorio III il 2
agosto 1215. Per offuscare il "perdono" aquilano, Bonifacio VIII
pensò bene di indire il Giubileo, il primo Anno Santo del 1300 che però non fu
dettato da calcolo economico o da speculazione politica ma sorse da un
movimento popolare canalizzato dal papa anagnino.
5) A distanza di secoli, qual
è oggi il valore della Perdonanza?
La Perdonanza è sinonimo di una rivoluzione morale e storica.
Nel passato è sembrata quasi esclusivamente un evento civile che di religioso aveva
ben poco ma con il tempo, soprattutto con il contributo spirituale impresso da
Monsignor Giuseppe Molinari, metropolita di L'Aquila, è diventato un evento
religioso in primis con grande partecipazione di fedeli, con afflusso di
pellegrini sia pure per varcare la porta santa di cui si ha traccia, però,
solo, dal 1320. Esiste un rito ad hoc per l'apertura della porta santa, ci sono
orazioni precise per la messa di apertura, una messa di chiusura che promuove
un atteggiamento partecipativo dei fedeli. Il Perdono di Celestino V non è fine
a se stesso ma porta verso una dimensione di trasformazione dell'individuo.
6) Sulla scia di Dante
Alighieri, Celestino V viene spesso definito “il Papa del gran rifiuto”. Qual
è, invece, la giusta definizione?
Nel terzo canto dell'Inferno, vv. 58-60 Dante scrive di "Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto, /
vidi e conobbi l'ombra di colui / che fece per viltade il gran rifiuto".
A tutt'oggi la critica dantesca non è unanime. Per questo innominato sono stati
proposti altri nomi più "papabili": per questo "gran rifiutante" ci sarebbero
Esaù, figlio di Isacco, che per un piatto di lenticchie rinunciò al diritto di
primogenitura a favore del fratello Giacobbe (Gen. 25,22), Ponzio Pilato, rappresentante dell'’autorità romana
in Palestina dal 26 al 36 d. C. (procurator
o praefectus), il quale
commise la viltà di non giudicare Cristo, l'imperatore dalmata Diocleziano C.
Aurelio Valerio (eletto dall'esercito nel 284 d. C.) che rinunziò al potere
assoluto con l'istituto della tetrarchia e agli onori divini, l'ultimo
imperatore romano d'Occidente, Romolo Augostolo, che fu però deposto da Odoacre
nel 476, dopo un solo anno di regno (l’identificazione non ha alcuna
giustificazione logica!), il cardinale Matteo Rosso Orsini (Roma 1230 - Perugia
1305) che avrebbe rifiutato l'elezione al Papato per lasciar spazio a Benedetto
Caetani e conservare il suo posto come decano del Sacro Collegio, Alfonso X di Castiglia
e di Lèon (Toledo 1221 - Siviglia 1284) che dice Francesco da Buti “eletto imperadore lasciò l'impresa de lo
imperio e per viltà d'animo non a seguitò", il guelfo fiorentino
Oliviero di Torrigiano detto Vieri dei Cerchi che in campo politico rifiutò più
volte di sostenere il partito dei Bianchi, causando la rovina fiorentina (secondo
il Barlow: Dante ha voluto indicare in lui "l'ombra, sebbene nel 1300 Vieri fosse ancora vivo; [...]
Quando nel maggio 1299 Corso
Donati dovette abbandonare la città, si profilò la grande occasione di Vieri; egli
fu convocato a Roma da Bonifacio VIII, che intendeva riconciliarlo con il
Donati [...] rifiutò di prestarsi alla manovra papale"). Dante,
quindi, poté conoscere personalmente Vieri e, visto il suo rifiuto, potrebbe a
lui ben addirsi il posto nell'Antiferno. Resta, però, da ricordare che era
ancora in vita quando Dante scriveva la Comedia,
ma ciò non è un problema, poiché i traditori degli ospiti e degli amici vedono,
appena compiuto il delitto, scendere la loro anima nel Cocito, prima che la morte
naturale renda cadaveri i loro corpi). Altri papabili sono: un tal Cionacci,
compagno di Dante che nel momento del pericolo voltò bandiera, l'imperatore
Giuliano l'Apostata (Costantinopoli 331 d. C. - Persia 363 d. C.) che avrebbe
rifiutato la derivazione divina e cristiana dell'Impero, l'imperatore di Germania,
San Filippo Benizi (Firenze 1237 - Todi 1285) che rifiutò il vescovado di Firenze
ed il pontificato, Torrigiano dei Cerchi, il re Venceslao II di Boemia (1271-1305),
Alboino della Scala (signore di Verona dal 1304 al 1311), il quale deluse i
Bianchi, banditi da Firenze, che avevano riposto appunto negli Scaligeri grandi
speranze. Tra tutte le tesi il medievista Raffaele Morghen sente più valida
quella che individua Matteo Rosso Orsini (in Enciclopedia Treccani, Roma, Istituto Enciclopedico Italiano
Treccani, 1970, vol. XXV, p. 609). Ciò implicherebbe però che Dante avesse per
così dire una spia in conclave che gli avesse riferito quanto accaduto e che,
siccome i fatti erano coperti da segreto, avrebbe, per non scoprire il suo
informatore, dovuto restare nella terzina sul vago! Altri nomi proposti dalla critica
dantesca sono: Giano
della Bella (Firenze seconda metà del sec. XIII – Francia tra
il 1311-1314), Ottone III (980-1002), re d'Italia e imperatore del Sacro Romano
Impero dal 996 al 1002. Da segnalare è che i figli di Dante che vissero accanto
al padre non seppero darci un nome certo. Jacopo e Pietro vi vedono entrambi
Celestino V; anche se, dopo aver introdotto la forma di opinione "come credo"
(ut credo), Pietro propone
anche Diocleziano. Giovanni Boccaccio accredita Celestino V, anche se fa notare
la convergenza di molti interpreti su Esaù. Discussi nella terzina sono i
termini impiegati da Dante che presi letteralmente potrebbero portare verso
interpretazioni diverse da quelle consuete.
(RIFIUTO NON E’ RINUNCIA, CONOBBI NON E’ RICONOBBI, VILTADE
HA NELLA DIVINA COMMEDIA VARI SIGNIFICATI: POCHEZZA D'ANIMO, MANCANZA DI
NOBILTA’, DEPLORAZIONE MORALE, DEGENERAZIONE, ESITAZIONE CONDIZIONE UMANA)
“Rifiuto” significa “non accettazione di una carica”;
“rinuncia” è invece quella di Celestino che, dopo 5 mesi e 9 giorni, lasciò “spontaneamente
e liberamente” il soglio di Pietro. Francesco Petrarca, però, di Celestino nel De vita solitaria non sottolinea
l'ignavia ma il coraggio della rinuncia: non per niente egli era un grande
estimatore a Vaucluse dei Celestini! Celestino V non fu un pusillanime, ossia
colui che per salvarsi, danneggiò chiunque, ma un coraggioso che abbandonò il
campo, quando comprese che la lotta era sleale e che il suo animo puro era
inserito in un mondo di incompetenti e di falsi cristiani. Non per niente Papa
Paolo VI in un discorso pronunciato il 1 settembre 1966 a Anagni ha detto:
"San Celestino V, dopo pochi
mesi, comprende che egli è ingannato da quelli che lo circondano, che profittavano della sua inesperienza per
strappargli benefici. Ed ecco rifulgere la santità sulle manchevolezze umane: il Papa, come per dovere aveva
accettato il Pontificato supremo, così, per dovere, vi rinuncia; non per viltà,
come Dante scrisse - se le sue
parole si riferiscono veramente a Celestino - ma per eroismo di virtù, per sentimento
e il dovere".
7) Cosa possiamo dire, con
esattezza della sua morte?
Celestino morì a Fumone di morte naturale per ascesso o
apostema sul fianco destro. Dopo 65 anni di vita eremitica all'età di 87 anni
(quindi nato nel 1209) si ammalò gravemente. Ebbe l'estrema unzione e morì come
un santo: sulla porta della sua cella un globo di fuoco con croce rimase
visibile per tutta l'agonia.
Altre versioni propongono la morte per disturbi
intestinali, ardente febbre, omicidio perpetrato, vedasi a tal riguardo il
manoscritto 1071 della Biblioteca dell'Arsenal di Parigi. Celestino V, tornato Pietro
del Morrone, dopo aver abdicato, rinchiuso in un castello sotto la protezione di
36 cavalieri, sarebbe stato ucciso da un parente di Bonifacio VIII e per ordine
del medesimo; il tutto con un chiodo infisso nel cranio. Tale versione è stata
accolta da tanta tradizione agiografica di opposizione a Bonifacio VIII che,
come ha detto Giovanni Papini, fu "odiato da tutti", e in particolare
dai Celestini che vennero ridimensionati dal papa anagnino.
Lelio Marini, grande abate, ce ne parla nel 1630: racconta
dell'abate Francesco di Ajelli che avrebbe trovato in una cassa del beato Roberto
da Salle a Santo Spirito un chiodo bresciano di 40 cm e che portatolo e
inseritolo con tanto di sangue raggrumato nel cranio di Celestino V a
Collemaggio sarebbe stata l'arma di un efferato delitto. Impossibile a
tutt'oggi di credere a questa fantasiosa versione, tanto più che il corpo del santo
fu oggetto di vari trafugamenti (al tempo per esempio di Filippo d'Orange).
Nessun mistero, dunque, ma solo giuste calunnie nei rispetti
di Bonifacio VIII.
8) Quale modello di santo rappresenta
oggi Celestino?
Celestino V è stato canonizzato a seguito di un processo canonico
e con bolla papale emanata dal papa di Bordeaux, Clemente V. A Celestino V si
attribuiscono innumerevoli miracoli. Celestino V ebbe lo spirito di profezia
(preannunciò più volte la morte a prelati e peccatori comuni); vide gli avvenimenti
che sarebbero avvenuti, ebbe la capacità di moltiplicazione di pani e di olio,
la generazione del vino dal nulla. Impiegò vari metodi per guarire: imposizione
delle mani, invio di oggetti (panni, fichi, crocette in legno o di cera, ostie consacrate,
pizze, pani, acqua benedetta, mantelli). Risanò persone di tutti gli strati
sociali: prelati, religiosi, artigiani, gente comune. Si è occupato di ciechi,
sordi, paralitici, sordomuti, idropici, paralitici, impiagati, lebbrosi, indemoniati.
La gran parte delle guarigioni è avvenuta quando era eremita sulle montagne: un
solo miracolo è attestato durante il pontificato; molti sulla sua tomba.
La sua canonizzazione fu voluta dal re di Francia ma fu
accordata sulla base di una santità che è sui generis: in effetti ad essere canonizzato non fu Celestino ma Pietro da
Morrone come confessore e non come martire perché ciò avrebbe procurato la
"damnatio memoriae" di
Bonifacio VIII tanto auspicata da Filippo Il Bello, re di Francia, anche dopo
la morte del suo acerrimo nemico, esponente del potere temporale dei papi.
9) Lei ha dedicato molti suoi studi a questa figura: cosa
ha imparato, a livello personale?
Ho scritto dieci opere, compresa quella che ho presentato con
Ilio Di Iorio, a Sulmona, qualche giorno fa con introduzione di S. E. Monsignor
Angelo Spina, vescovo di Sulmona-Valva, che molto si è prodigato per l'Anno Giubilare
Celestiniano e per la venuta del Papa Benedetto XVI. Molto c'è ancora da fare.
Troppe fonti giacciono ancora nei polverosi magazzini di biblioteche o in
archivi soprattutto esteri. Con ogni pubblicazione che riesco a stampare
aggiungo un tassello ad una specie di puzzle storico-spirituale concernente una
figura di pontefice dai tratti singolari. Ho imparato che conoscere Celestino arricchisce
sempre più, motiva a seguire un cammino che va verso la Chiesa dei primi
secoli, una chiesa espressione del messaggio evangelico.
10) C'è una qualche
connessione tra Celestino V e i sismi del 2009 o di secoli precedenti?
Il manoscritto 1071 della Biblioteca dell’Arsenal di
Parigi, nella parte finale, presenta vari documenti, oltre al Compendium, si ricorda il sisma del
1468 ed il miracolo del corpo di Cristo: vi si dice: "nell'anno 1463 ci fu
un grande terremoto nella città di L'Aquila e in quelle parti alla fine di novembre
e durò per otto giorni continui, per cui più chiese, case ed edifici caddero, uccidendo
molti. Allora la volta del coro dei Celestini di Collemaggio con gran parte del
muro da una parte e dall'altra cadde sopra l'altare maggiore dove, secondo il
solito, pendeva il corpo di Cristo in simbolo e insieme crollò. Tuttavia Dio
volle che nessuno si trovasse in chiesa per cui nessuno fu leso. Dopo i frati
fecero portar fuori le pietre per ricercare se si trovasse qualche particella
del corpo di Cristo.. Scavando trovarono un tabernacolo quasi miracolosamente fatto
nel quale c'erano tre ostie intere e integre".
Nel sisma del 6 aprile 2009 il tabernacolo dell'altare
centrale è restato integro; le ostie idem poiché conservate nella cappella
dell'abate. Me lo ha confermato don Nunzio Spinelli, rettore della basilica.
Per il miscredente si tratta di una semplice coincidenza, per il cristiano di
un miracolo. Stessa distruzione, ma il Corpo di Cristo in entrambi caso
preservato dal danno naturale.
Speriamo che con l’aiuto di S. E. Mons. Giovanni D’Ercole, ausiliare
vescovo di L’Aquila, deputato alla ricostruzione delle chiese aquilane, con
mandato papale, si abbia presto un nuovo miracolo: la ricostruzione integrale
della basilica con restauro delle tele del monaco celestino Andrea Ruther.
BIBLIOGRAFIA impiegata per quest’intervista:
1) S. Dl CARLO, Clemente Ve la
canonizzazione di Celestino V / Tra Filippo Il
Bello e Bonifacio VIII, 1997 (contiene la Bolla di canonizzazione con
traduzione a fronte in italiano, francese, inglese e tedesco), 1997;
2) S. Dl CARLO, L’avventura di due poveri cristiani! Vite parallele: Celestino V e
Ignazio Silone, 1999 (studio comparativo con testi critici di autori
contemporanei), 1999;
3) S. Dl CARLO, L’ombra di Celestino V sul pontificato di Bonifacio VIII, 2001
(contiene l’estratto di una laude in morte di Celestino, la Bolla del Perdono
di Celestino e le bolle di cassazione di Bonifacio VIII testi con traduzione), 2001;
4) S. Dl CARLO - I. Dl IORIO, La Vita C, 2002 (contiene anche in
traduzione la Vita scritta da due discepoli coevi del santo, Tommaso da Sulmona
e Bartolomeo da Trasacco; l’esemplare dell’elezione ed il testo della
rinuncia). Prima edizione 2002; in corso di ristampa nel 2010.
5) S. Dl CARLO, I Celestini di Parigi, 2003 (contiene
la Vita di Celestino di Giambattista Platina del 1543, la Vita del beato celestino Jean Bassand e la traduzione
di un Iibro del 1790 sul monastero celestino di Parigi delI’Annonciation, la bolla
di approvazione dell’Ordine celestino scritta da Papa Gregorio X), 2003;
6) S. Dl CARLO, La vita di Papa Celestino V, Sintesi ottocentesca a cura di T. Bonann, 2004
(contiene un “ristretto sulla vita del santo” anche in traduzio-ne francese ed
in inglese, un’analisi della vita e dell’opera di tutti i cardinali del
collegio che elessero Celestino effettuata con passi scelti tradotti e tratti
da F. Duschesne, Histoire de tous les
cardinaux français de naissance del 1660);
7) S. Dl CARLO - I. DI IORIO, Celestino V pontefice massimo. La vita, l’ordine,
i miracoli, 2006 (contiene la Vita di Celestino V di Pierre d’Ailly e
Denis Lefevre del 1539 anche in traduzione italiana, passi della Vita C, del Processo di canonizzazione,
la Bolla di canonizzazione):
8) S. DI CARLO, Celestino lungo la valle Subequana I Celestino V uomo di pace, 2006.
3) S. Dl CARLO, L’ombra di Celestino V sul pontificato di Bonifacio VIII, 2001
(contiene percorso dell’incoronazione da Sulmona a L’Aquila anche in traduzione
francese e un libretto d’opera su Celestino V).
9) S. Dl CARLO - I. Dl IORIO, L’Autobiografia di Papa Celestino V. (contiene
il testo scritto da Pietro da Morrone, con traduzione a fronte),2008.
10) S. DI CARLO - I. DI IORIO, “5 mesi e 9 giorni di Celestino V / dall’’OPUS
METRICUM di Jacopo Gaietani Stefaneschi, cardinale e testimone oculare nei
pontificati di Celestino V, Bonifacio VIII e Clemente V”, 2010 (contiene
i 2879 esametri latini, con traduzione a fronte ed un’ampia introduzione
storica).
11) Manoscritti delle Biblioteche e degli
Archivi di Francia e di Italia.
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